Samson Box

Il SAMSON BOX è un sintetizzatore digitale controllato attraverso un computer. È stato realizzato da Peter Samson per l’Università di Stanford. Nella letteratura sull’argomento lo si incontra con il nome di SYSTEMS CONCEPTS DIGITAL SYNTHESIZER, anche se comunemente è stato ribattezzato SAMSON BOX dal nome del suo inventore.

Cenni storici – Il Samson Box è un sintetizzatore digitale noto anche con il nome di SYSTEMS CONCEPTS DIGITAL SYNTHESIZER. Fu realizzato da Peter Samson della Systems Concepts di San Francisco, California, su progetto voluto dal Center for Computer Research in Musical and Acoustics (CCRMA) di Stanford. La progettazione del sintetizzatore fu avviata nei primi anni Settanta, e una prima presentazione della sua architettura e delle potenzialità performative vi fu in occasione dell’International Computer Music Conference del 1972 alla Michigan State University. Il lavoro di costruzione fu avviato nel biennio successivo tra il 1973 e il 1974 e il primo prototipo, invece, fu installato al CCRMA nel 1977 e fu poi utilizzato per tutti gli anni Ottanta, a fini di ricerca e per la composizione di opere musicali.[1]

Gli errori del passato – Il progetto del SAMSON BOX si basava innanzitutto su alcune considerazioni fatte in merito ai sistemi per la computer music realizzati fino a quel momento. Una in particolare fu ritenuta di una certa rilevanza: Peter Samson ha sottolineato quanto fosse importante realizzare un nuovo sistema che sfruttasse le potenzialità di un computer dedicato ad applicazioni musicali, rifiutando l’opzione di adottare un computer condiviso per utilizzi assai differenti, come era stato fatto nel decennio precedente, cosa che aveva mostrato l’impossibilità di riuscire a soddisfare le diverse e specifiche esigenze dei compositori. Tutto ciò, secondo Samson, sarebbe perfino la causa di una produzione musicale di scarso interesse estetico.[1] Tuttavia, a discapito di questo, Peter Samson evidenzia comunque il grande vantaggio che si ottiene dalla sintesi digitale anche nella sua applicazione all’interno dei sintetizzatori i quali, in confronto a quelli analogici, consentono il superamento di alcuni limiti importanti come la difficoltà di monitorare accuratamente i diversi moduli, la scarsa accuratezza nella gestione dei parametri e la scarsa flessibilità.[2] Da un punto di vista generale, infine, possiamo dire che il progetto di questo sintetizzatore digitale si inseriva in quel filone di ricerca finalizzato alla realizzazione di sintetizzatori, o strumenti hardware in genere, intesi come periferiche di computer di controllo. Un’antecedente importante, da questo punto di vista, è il Groove di Max Mathews.

Peter Samson di fianco al Samson Box.
Peter Samson di fianco al Samson Box.

Obbiettivi della ricerca – Gli obbiettivi posti dalla ricerca riguardavano innanzitutto la velocità di computazione, cosa che doveva essere risolta proprio con l’adozione di un computer dedicato. Strettamente connesso a questo obbiettivo era quello del tempo reale: l’utilizzo dal vivo del SAMSON BOX avrebbe consentito ai compositori di ottenere un feedback sonoro immediato. Quello del tempo reale fu per lungo tempo un tema caldo all’interno della computer music, per questo motivo fu ritenuto anche l’obbiettivo principale di questo progetto. Non meno importante fu il grado di apertura del nuovo sintetizzatore. Il SAMSON BOX, infatti, che fu progettato per implementare innanzitutto le tecniche di sintesi più comuni (come quella additiva, sottrattiva e la FM), doveva anche essere in grado di accogliere quante più novità possibili. Per questo motivo Peter Samson, nel suo articolo del 1980, parla di un sintetizzatore General-Purpose, cioè dedicato certamente alla musica ma non concepito per un utilizzo troppo specifico; un sistema aperto dunque, capace di accogliere ciò che di nuovo la ricerca avrebbe potuto sviluppare. Questi furono gli aspetti più importanti che si presero in considerazione nello strutturare il progetto, benché tra il prototipo del 1977 e la macchina descritta da Peter Samson nel 1985 vi furono diverse differenze tanto che l’ultima versione fu presentata con delle funzionalità in meno rispetto al prototipo.

Antecedenti – Peter Samson ha fatto notare che quando iniziarono a lavorare sul SAMSON BOX, non vi erano modelli a cui fare riferimento. Il GROOVE, infatti, era un sistema ibrido (cioè controllo digitale e sintesi analogica) mentre il SAMSON BOX avrebbe dovuto essere integralmente digitale. Per questo motivo si presero in considerazione tutte le tecniche di generazione sonora disponibili fino a quel momento, anche molto distanti da quelle prettamente digitali (strumenti tradizionali, sintesi analogica, sintesi del parlato, etc.).[3]

La struttura – Il SAMSON BOX riprendeva quella struttura modulare già adotta con altri sistemi. Nello specifico la parte hardware era costituita innanzitutto da un computer PDP-6, almeno secondo la configurazione presentata nel 1981 da Gareth Loy.[4] Il PDP-6 non era una macchina concepita per essere dedicata alla specifica funzione della computer music ma si trattava di un computer utilizzato per la gestione di numerosi dispositivi (convertitori ADC e DAC e per il sintetizzatore FRMBOX di Richard Moore) oltre che per gestire ed alimentare in SAMSON BOX.[4] Per questo motivo il PDP-6, nella configurazione generale, si presentava a sua volta come un dispositivo gerarchicamente dipendente ad un DEC PDP-10 dell’Artificial Intelligence Laboratory (AIL) dell’Università di Stanford, a cui era connesso attraverso uno speciale collegamento I/O.

I moduli – Si è detto in precedenza del fatto che il SAMSON BOX fosse articolato in moduli, secondo la migliore tradizione dei sintetizzatori analogici. Il sintetizzatore era equipaggiato con tre differenti tipologie di moduli, definiti elementi computazionali (Processing Elements): generatori, modificatori e unità di ritardo.[3] Nel dettaglio, il sintetizzatore era provvisto di 256 generatori, 128 modificatori e 32 unità di ritardo che potevano essere utilizzati simultaneamente. I nomi non indicavano funzionalità troppo specifiche nel senso che, ad esempio, i generatori potevano essere utilizzati per modificare dei segnali e, viceversa, i modificatori, in determinate applicazioni, svolgevano un ruolo di generatori. È il caso, quest’ultimo, dei modificatori capaci di generare numeri pseudo-random al fine di produrre rumore bianco.[1]

I generatori – I generatori, oltretutto, sul piano funzionale erano articolati in due sezioni, in maniera che ciascun elemento poteva essere utilizzato come oscillatore o come inviluppo. I generatori erano capaci di generare diverse forme d’onda (a dente di sega, sinusoidale, quadrata o pulsazioni), mentre gli inviluppi potevano essere utilizzati per il controllo dell’ampiezza degli oscillatori.

I modificatori – Come i generatori anche questi potevano svolgere diverse funzioni: potevano generare rumore bianco, essere utilizzati per i riverberi, svolgere funzioni di mixing o inviluppi di ampiezza; senza alcuna associazione ad una specifica tecnica di sintesi.

Frequenza di campionamento – Il SAMSON BOX fu provvisto di una frequenza di campionamento variabile, a seconda delle esigenze. Ciò che incideva sulla velocità di campionamento era ovviamente il numero di elementi effettivamente coinvolti nella procedura di computazione, un numero che arbitrariamente poteva essere stabilito dall’utente.

Periferiche Input/Output – L’implementazione delle periferiche I/O segue un percorso lungo nel corso degli anni. Un resoconto tecnico di un prototipo iniziale ci presenta un sintetizzatore fornito di quattro DAC, mentre Gareth Loy ricorda anche che inizialmente non furono previsti convertitori ADC.[2] Nel 1985, invece, Peter Samson ci spiega che la versione finale del suo sintetizzatore fu equipaggiato con due tipologie di periferiche I/O: 16 canali analogici (capaci di funzionare sia come DAC che ADC) a cui si affiancarono anche periferiche I/O digitali per il salvataggio o la gestione di dati in formato digitale. Rispetto al primo punto dobbiamo precisare che i convertitori DAC e ADC necessitavano anche di filtri Low-Pass per il filtraggio del segnale analogico sia in ingresso che in uscita. I filtri potevano essere programmati e perfino bypassati qualora si fossero utilizzati filtri esterni. Per il secondo punto, invece, c’è da dire che le periferiche consentivano di gestire dati tra dispositivi o sistemi differenti senza il rischio di deteriorazione del segnale.[3]

Raddoppiare le funzionalità – Ma l’applicazione più interessante per queste periferiche I/O digitali era in verità un’altra. Esse, infatti, consentivano di raddoppiare le funzionalità dell’intero sintetizzatore attraverso un processo di elaborazione del segnale da svolgere in due o più fasi successive. Si è detto, parlando a proposito di generatori e modificatori, che il SAMSON BOX ne prevedeva 256 e 128. Se al termine di una prima fase di computazione si era ottenuto un risultato sonoro attraverso l’utilizzo, per ipotesi, di tutte le funzionalità disponibili, l’output poteva essere salvato in formato digitale e quindi richiamato per essere sommato ad un secondo output a sua volta elaborato con le medesime funzionalità, ottenendo quindi un risultato finale frutto dell’utilizzo di 512 generatori e 256 modificatori che si traduceva in suoni con un timbro di qualità superiore

Utilità – Negli anni del suo utilizzo il SAMSON BOX è stato affiancato da altri software che hanno integrato e aumentato le sue potenzialità. È il caso di PLA, benché non abbia avuto lunga vita, e in particolare del MUSBOX, un compilatore dedicato al SAMSON BOX

Composizioni – L’aspetto però più interessante, comunque, resta l’utilizzo effettivo del Samson Box per la composizione di opere musicali. Da questo punto di vista è molto utile citare la raccolta Dinosaur Music, pubblicata dalla Wergo, che raccoglie alcuni lavori realizzati con il Samson Box, Musbox e Pla da Chris Cafe, William Schottstaedt e David Jaffe. Di quest’ultimo ricordiamo in particolare Silicon Valley Breakdown, premiato alla Biennale di Venezia del 1982 e al Newcomp Contest del 1983.

Per scrivere questa voce ho letto:

[1] Peter Samson, A General-Purpose Digital Synthesizer, Journal of the Audio Engineering Society, 1980, Vol. 28 [3].
[2] AA.VV., Systems Concepts Digital Synthesizer Specifications, Technical Paper, Systems Concepts, San Francisco.
[3] Peter Samson, Architectural Issues in the Design of the Systems Concepts Digital Synthesizer in Digital Audio Engineering: an Anthology, edited by John Strawn, W. Kaufmann, U.S.A., 1985.
[4] Gareth Loy, Notes on the Implementation of MUSBOX: a Compiler for the Systems Concepts Digital Synthesizer, Computer Music Journal, Vol. 5 [1], 1981.

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