Trevor Wishart non è soltanto un compositore che ha dedicato parte della sua carriera alla composizione di musiche attraverso il computer ma risulta una figura di grande interesse anche per il contributo che ha dato e continua a dare alla disciplina attraverso la didattica e la promozione.
Cenni biografici – Compositore, insegnante, autore di saggi, ricercatore e sviluppatore di software per la musica. Trevor Wishart nasce a Leeds, in Gran Bretagna, nel 1946. Ha studiato ad Oxford, all’Università di Nottingham e di York. Presso quest’ultima ha conseguito, nel 1973, il Dottorato in Composizione. La sua formazione avviene principalmente nell’ambito della musica tradizionale ma la sua carriera di compositore si svolge soprattutto nella produzione di musica elettronica analogica e digitale. Wishart non ha mai occupato un posto ufficiale nel mondo accademico, che fosse un’Università o un Conservatorio, prediligendo una carriera indipendente. In anni recenti ha iniziato a collaborare come professore onorario all’Università di York.[1] Negli anni della formazione, tradizionale ed accademica, fu molto colpito dall’ascolto di alcuni lavori elettronici di Xenakis, Berio, Stockhausen e dei concretisti di Pierre Schaeffer. Un primo passo verso la musica elettronica avviene con l’acquisto di un modesto registratore a nastro magnetico, attraverso cui iniziò a registrare suoni industriali da utilizzare nelle sue composizioni. La sua carriera è stata valorizzata da numerosi riconoscimenti come il recente Giga-Herz Grand Prize rilasciato dallo ZKM (Zentrum für Kunst und Medientechnologie), il Golden Nica al Linz Ars Electronica, il premio Gaudeamus e l’Euphonie d’Or al Festival di Bourges. I suoi lavori sono stati commissionati da importanti istituzioni quali l’Ircam di Parigi, la Biennale di Parigi e la BBC Promenade Concerts.
Poetica: la vocalità – L’approccio alla composizione in Wishart si basa principalmente su due elementi: la vocalità e l’improvvisazione, che in modi differenti tornano costantemente nei suoi lavori. La vocalità è certamente l’elemento più rilevante. Non è certo un caso che il nome di Wishart è noto anche per le sperimentazioni con diverse tecniche vocali applicate in contesti di musica elettronica. Interessato fin dall’inizio alla fusione dei suoni gli uni dentro gli altri, attraverso un processo di continua trasformazione, Wishart concepisce la voce come un vero e proprio strumento che meglio di altri si presta a soddisfare le sue personali esigenze creative. A differenza degli strumenti tradizionali, concepiti con una timbrica che resta relativamente costante, la voce si presenta come un mezzo dotato di maggiore flessibilità, in grado di poter generare potenzialmente qualsiasi suono dettato dalla fantasia dell’esecutore o del compositore.[2] L’interesse verso la vocalità ha origine nei primi anni Settanta successivamente allo studio, insieme a Richard Orton, sulla scrittura vocale adottata da Stockhausen in Stimmung.[1] Non meno importante, poi, l’incontro con il compositore Warren Burt che in California, a San Diego, dal 1973 al 1975, fu membro del gruppo Extended Vocal Techniques Ensemble, impegnato nella ricerca sulle più diverse tecniche vocali. La Fondazione Rockfeller ne premiò l’attività di ricerca spinta ai limiti delle possibilità vocali.[1]
Poetica: l’improvvisazione – Secondo elemento rilevante, abbiamo detto, è l’improvvisazione. A suo giudizio, tra l’esecutore che improvvisa e il compositore, non vi è quell’enorme differenza che alcuni musicisti vorrebbero evidenziare a tutti i costi. Certamente riconosce l’esistenza di differenze sostanziali tra l’improvvisatore che lavora con strumenti tradizionali e colui che lavora con mezzi elettronici; come ulteriori differenze vi sono, a suo giudizio, tra chi lavora con strumenti analogici o il computer. Parlando di improvvisazione, Wishart utilizza il concetto di “slow improvisation”,[1] con cui vuole sottolineare una tempistica che richiede di essere perfettamente calcolata affinché la trasformazione di un suono in un altro, il sound morphing, sia percepita nel giusto modo. La percezione umana necessita di un tempo ben preciso per riconoscere il suono iniziale, un tempo per riconoscere quello finale e, infine, un tempo per accettare, o accertare, che sta avvenendo una trasformazione. Nel caso specifico di Wishart, questa tempistica, in fase di composizione, è calcolata attraverso l’ascolto, quindi attraverso un approccio che è innanzitutto percettivo, così come lo è l’improvvisazione, dove l’equilibrio tra le parti, in un contesto di musica tradizionale, o il contributo di ciascun esecutore, si basa su un rapporto empatico e percettivo tra i diversi esecutori chiamati in causa. Restando sulla questione dell’improvvisazione, Wishart distingue ulteriormente tra quella messa in atto con mezzi elettronici analogici o con il computer. Wishart sostiene che l’improvvisazione negli studio analogici si stabilisce principalmente nella fase di generazione del materiale sonoro, attuabile attraverso il controllo dal vivo dei diversi parametri del suono. Nel caso del computer, invece, l’improvvisazione si attua principalmente sperimentando diverse trasformazioni del suono attraverso i diversi software a disposizione.[1]
L’elettronica e la computer music – In Wishart, la vocalità e l’improvvisazione trovano un comune ambito di applicazione attraverso l’uso degli strumenti elettronici, sia analogici che digitali. Da questo punto di vista la sua formazione avviene innanzitutto attraverso la frequentazione degli studio dedicati all’elettronica analogica dove Wishart si trovò di fronte ad una strumentazione che gli consentiva nuove possibilità di espressione. L’interesse verso questo strumenti gli viene dettato dalla sua passione verso i processi di trasformazione dello spettro sonoro che attuati con i mezzi elettronici offrivano confini molto più vasti di quelli fissati dalla vocalità. Soltanto in un secondo momento, e dopo aver acquisito esperienza in ambito analogico, Wishart intuisce che i suoi processi di trasformazione sonora potevano essere generalizzati e codificati in ambiente informatico. È vero, infatti, che l’attenzione di Wishart verso il computer non nasce per un aprioristico interesse verso il nuovo mezzo informatico, ma piuttosto si basa sulla consapevolezza che il computer rendeva più agevole lo svolgimento di quegli stessi processi già attuati con mezzi analogici.[1]
Gli anni dell’Ircam – In questo rapporto con la computer music, che Wishart non concepisce come un qualcosa di slegato dalla musica in generale, è fondamentale il suo spostamento all’Ircam di Parigi. Sul finire degli anni Settanta anche in Europa la computer music si presentava come una realtà ormai consolidata. Wishart avanzò una proposta di lavoro al centro diretto da Pierre Boulez, proposta che fu accetta nel 1981. Ciò che maggiormente influenzo i suoi successivi lavori furono le letture di Steve McAdams sulla Psicoacustica, l’incontro con Miller Puckette, lo studio del Sistema Carl, che implementava la tecnica del Phase Vocoder e il Cmusic di Richard Moore, lo studio della tecnica del Linear Predictive Coding, particolarmente efficace nell’ambito della sintesi del suono parlato (come il Phase Vocoder del resto), e lo sviluppo di software personalizzati sulle proprie esigenze. Sfortunatamente, al termine del suo percorso di studi, l’Ircam avviò un lavoro di rimodernamento dei software e dell’hardware posseduto. Questo rallentò il lavoro di composizione di Wishart il quale dovette attendere il 1986 per realizzare VOX 5, il primo lavoro di computer music nonché la quinta parte di un ciclo a cui Wishart iniziò a lavorare fin dal suo arrivo all’Ircam.[1]
Il Composers’ Desktop Project – Terminata l’esperienza parigina (nel 1993 tornò nuovamente in Francia per un esperienza di collaborazione al Groupe de Recherches Musicales di Pierre Schaeffer),[4] Wishart fece ritorno in Gran Bretagna, in un contesto molto differente da quello lasciato a Parigi, almeno rispetto alla computer music. Ciò che mancava, oltre ad Istituzioni, pubbliche o private, dotate delle necessarie attrezzature informatiche, era soprattutto una comunità di riferimento dove poter condividere la propria attività. Dall’insieme delle esperienze pregresse, l’aridità della situazione inglese e l’incontro con alcuni ex studenti dell’Università di York, nacque l’idea del Composers’ Desktop Project, un pacchetto di programmi, sviluppati da Wishart e da quanti ne fecero parte, messo a disposizione di istituzioni, studio, università o semplici privati che non potevano permettersi software a pagamento. Un progetto attuato nel 1987 e portato avanti fino ad oggi.
I lavori analogici – La produzione elettronica di Wishart è segnata da alcune tappe fondamentali. In primo luogo ricordiamo Machine …an Electronically-Preserved Dream (1970), primo lavoro di musica elettronica, in cui Wishart adopera quei materiali sonori registrati in seguito all’acquisto del suo primo registratore. Wishart definì l’approccio adottato in questo lavoro come “music montage”.[1] In questo lavoro Wishart utilizza otto direttori di Orchestra ed un coro di voci che imita i suoni registrati su nastro magnetico in sequenza continua. Il coro aveva il compito di attuare un processo di trasformazione del materiale registrato tentando di umanizzarlo, secondo le indicazioni fornite dal compositore stesso. Tra i lavori antecedenti alla fase digitale degli anni Ottanta ricordiamo anche Red Bird (1977), costruito attraverso diversi materiali sonori: canti di uccelli, o animali in genere, suoni di svariate macchine industriali, suoni di acqua, ecc. Il tutto combinato insieme attuando un continuo processo di trasformazione del suono per mezzo di strumenti analogici quali mixer e nastri magnetici. All’interno di questo lavoro è presente anche una parte vocale ottenuta da una cantante che segue un libero approccio improvvisativo.
Il teatro – La produzione elettronica di Wishart spazia anche nell’ambito teatrale. Tra questi lavori ricordiamo, oltre Tuba Mirum (1978), in particolare Fidelio (1977) e Pastorale (1980) per il loro uso dei mezzi elettronici. Si tratta di lavori di cui Wishart sottolinea la distinzione rispetto all’opera musicale tradizionale. Il compositore inglese preferisce parlare di musica per teatro, ovvero come un’esecuzione musicale in cui anche la gestualità, l’azione, i costumi e tutte le altre convenzioni teatrali svolgono un loro ruolo.
“By music-theatre I mean to imply that type of (often instrumental) musical performance in which theatrical conventions, actions, gestures, costumes, etc. play a part.”
Fidelio, in particolare, è una grande metafora del mezzo tecnologico in cui l’uomo ha inizialmente riposto le speranze per un mondo diverso e migliore fino a prendere coscienza della sua incapacità di riuscire a controllarne gli sviluppi quando la tecnologia si è fatta sempre più complessa. Il sogno tecnologico, idealizzato dai creativi, in Fidelio diventa un incubo quando la tecnologia incontra gli interessi commerciali dei manager che con la tecnologia soffocano quella stessa creatività che l’ha generata.
Il ciclo VOX – A cavallo tra la produzione analogica e quella digitale troviamo il ciclo di composizioni intitolato VOX. A questo ciclo iniziò a lavorare fin dal 1982 e per tutta la durata degli anni trascorsi all’Ircam. Nel 1986 realizzò VOX 5, il primo lavoro di computer music composta da Wishart. Già la scelta del titolo evidenzia l’importanza riconosciuta alla voce. Cronologicamente il ciclo si articola in questa maniera: VOX 1 (1982), VOX 2 (1984), VOX 3 (1985), VOX 4 (1988), VOX 5 (1986) e VOX 6 (1989). Tutti i lavori, ad esclusione di VOX 5, realizzato per solo nastro magnetico, sono scritti per quattro voci amplificate e nastro magnetico a due o quattro tracce. VOX 1, commissionato dalla Electric Phoenix, utilizza un nastro a quattro tracce, ma è preminente l’uso dei suoni vocali. In VOX 2 la voce è utilizzata in maniera più evidente in imitazione dei suoni della natura. In VOX 3 l’accento si sposta sulla scrittura ritmica. Questa attenzione verso la scrittura ritmica ritorna anche in VOX 6, dove Wishart scrisse innanzitutto la parte ritmica, adattando in un secondo passaggio la parte testuale al profilo ritmico.[6] Per quest’ultimo lavoro, commissionato da Radio 3, Wishart si occupò di istruire direttamente i cantanti sul modo in cui dovevano pronunciare le parole. Questo è l’unico lavoro di tutto il ciclo in cui è utilizzato un testo. L’intero ciclo fu strutturato in sei lavori perché l’intenzione di Wishart era di esplorare in questo modo differenti tecniche vocali. Un posto particolare è occupato, visto l’utilizzo del computer, da VOX 5. Per la realizzazione di questo lavoro Wishart sviluppò alcuni software ad hoc che gli permettevano di sfruttare i dati analitici ottenuti con il Phase Vocoder. Tra i più importanti ricordiamo quelli che gli consentivano di svolgere azioni di streching e morphing sullo spettro sonoro.[4] Tra gli altri lavori realizzati attraverso il computer ricordiamo anche Two Women (1988), Fabulous Paris (1997) e il più recente Angel (2004).
Le pubblicazioni – A completare la figura di Wishart, infine, c’è la sua attività di didatta e divulgatore. Tra le sue pubblicazioni vale ricordare Sounds Fun, che è il resoconto del progetto Schools Council Music realizzato insieme a John Paynter e incentrato sulle applicazioni dell’improvvisazione libera. Si trattava, negli anni Ottanta, di idee radicali e innovative, poi standardizzate da venti anni di applicazioni nelle scuole britanniche.[1] Altra pubblicazione, realizzata negli anni dell’Ircam, è On Sonic Art, in cui Wishart tratta delle implicazioni estetiche della tecnologia applicata in musica, con uno sguardo particolare verso la registrazione e l’analisi. Più orientato all’uso musicale del computer è invece Audible Design, in cui Wishart riporta tutta la sua importante esperienza di pioniere nel sound design.
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