Dopo il trio sperimentale di Presence Acusmatique (2013), il compositore tedesco apre il 2014 con un nuovo lavoro solista che lo riallaccia alla scrittura ambientale di The Endless Change of Colour (2013) e Nostalgia (2011).
Rispetto ai due lavori precedenti colpisce un certo legame con quello del 2011 di cui Beautyfear sembra quasi una rielaborazione drammatizzata, declinata in un senso tragico e claustrofobico. L’esperienza del lungo drone di The Endless Change of Colour appare dunque archiviata a vantaggio di una scrittura strutturata in momenti musicali più brevi e contenuti.
Emerge e colpisce, in Beautyfear, una costruzione dei brani attraverso una ciclica ripetizione e sovrapposizione di un numero abbastanza ristretto di singole sequenze accordali; una tecnica che il compositore tedesco adotta nella quasi totalità delle tracce che compongono l’album.
Fatta eccezione per Beautyfear VII, costituita da un singolo ciclo di accordi, le altre tracce condividono generalmente la stessa tecnica compositiva, che le realizza attraverso la sovrapposizione o la giustapposizione di 2 o 3 – comunque un numero limitato – di sequenze accordali. Beautyfear IV, come esempio, è realizzata attraverso una sequenza accordale ascendente/discendente di circa 6” che si muove su un fondo risonante di bassa intensità; tutto completato da un ulteriore breve crescendo in ingresso a 0:45.
Oltre alla coerenza stilistica, l’album esprime anche una certa omogeneità timbrica, facendo uso di suoni tipo pad, a volte organistici ma comunque piuttosto ampi ed atmosferici, finalizzati ad esprimere un’ambientazione piuttosto scura, fatta di spazi chiusi e stretti. Solo Beautyfear VIII presenta delle scelte timbriche un pò differenti che ricordano le sonorità di uno strumento a fiato.
I tempi sono molto lenti, tali da confondere la percezione della reale durata dei brani, mediamente di poco superiore ai 4 minuti. Anche il ritmo appare piuttosto fluido, poco marcato, benchè certe soluzioni più interessanti emergono proprio laddove sono presenti degli andamenti ritmici più cadenzati.
Le tracce più interessanti, infatti, si caratterizzano proprio per una ritmica scandita con maggiore decisione rispetto alle altre. Un aspetto che interessa solo in parte Beautyfear IX ma che si esprime in particolare con Beautyfear XI, la traccia più bella di tutto l’album. Se l’intero album si assesta su una generale sensazione di malinconia, o di velata disperazione, e se le altre tracce appaiono come le diverse tonalità di una scala di grigi, Beautyfear XI disegna il nero, enfatizzando violentemente l’elemento tragico. La serrata ripetizione delle sequenze accordali, insieme alla loro drammatica brevità, esprime una certa ansia claustrofobica, un immobilismo che è pietrificazione da paura, da orrore. In Beautyfear XI, Marsen Jules si stacca dalla scrittura ampia delle altre tracce precedenti ritornando quasi su una forma canzone per riuscire ad imprimere maggiore drammaticità con un espediente tanto abusato quanto efficace quale il vuoto sonoro tra 3:10 e 3:35.
Marsen Jules è considerato da molti come una delle figure più interessanti dell’elettronica contemporanea, ed effettivamente la sua discografia sembra confermarlo (premio Qwartz nel 2009 con lo pseudonimo di krill.minima per l’album urlaub auf balkonien) mostrando la sua naturale capacità di saper spaziare attraverso usi diversi e variegati del mezzo elettronico che lo portano verso la musica concreta, i glitch e gli amalgama con strumenti tradizionali. Beautyfear, solo l’ultimo dei tanti, mostra più chiaramente la sua predilezione verso le sonorità atmosferische ma credo che la parte più bella di Mersen Jules non sia nella scelta di uno o dell’altro approccio ma piuttosto deriva da quegli album in cui è riuscito a raggiungere un equilibrio tra tutti gli elementi. Per questo Beautyfear pur essendo un ottimo album non suona affatto come il suo migliore.
Titolo: Beautyfear
Autore: Marsen Jules
Etichetta: Oktaf
Anno: 2014
Durata: 00:52.09
Voto: 7/10
Lascia un commento