A 5 anni da Test Pattern, il nuovo album di Ryoji Ikeda che chiude il ciclo Datamatics. Vorrei chiarire subito quale sia lo spirito che anima questa recensione: aspettavo qualcosa di più interessante dal nuovo album di Ryoji Ikeda. Questa premessa mi è necessaria per evitare qualsiasi fraintendimento visto che, secondariamente, vorrei dire di quest’album quanto sia notevole la sua perfezione formale, quanto accurata è l’ingegneristica costruzione sonora, e quanto elevato il livello di pulizia timbrica. Caratteristiche che tuttavia non bastano ad elevare quest’album al di sopra della sufficienza.
Titolo: Supercodex
Autore: Ryoji Ikeda
Etichetta: Raster-Noton
Anno: 2013
Durata: 1:05.38
Valutazione: 6/10
Da parte mia non vi è scarsa considerazione verso le caratteristiche poc’anzi elencate, tutt’altro; dal momento che si tratta di peculiarità che in passato hanno fatto di me un amatore di questo compositore, un suo fedele discepolo. Ciò nonostante bisogna pur riconoscere che si sta parlando di aspetti già noti, a cui l’orecchio si è largamente abituato e purtroppo l’abitudine genera assuefazione o, nel peggiore dei casi, noia. Benché Ryoji Ikeda sia un’artista di notevole spessore, come dimostrano i suoi lavori precedenti, questo non lo rende immune, come nessun’altro del resto, dai rischi derivanti dall’abitudine.
Di certo non mancano elementi di novità, come la scelta di una gamma frequenziale orientata verso il basso, oppure la consueta ritmica frenetica, rapidissima che in Supercodex cela una violenza nuova nello stile di Ikeda, infine una resa timbrica che appare più spostata verso il rumore invece che verso quel minimalismo scultoreo dei lavori precedenti. Non mancano poi brani di una certa bellezza, come Supercodex 10, che pare quasi una rilettura dei lavori degli anni Novanta ma chiaramente aggiornata ai nuovi stilemi estetici. Mentre ancora più interessante è Supercodex 17, ottenuto attraverso la pesante contrapposizione di rigide masse sonore.
Se spostiamo il discorso dal piano musicale a quello concettuale, Supercodex mantiene lo stesso qualcosa di interessante, essendo l’ultimo capitolo della trilogia Datamatics, iniziata nel 2005 con il capolavoro Dataplex, poi proseguita nel 2008 con Test Pattern. In realtà che ci fosse in cantiere una trilogia lo scopro con il comunicato stampa rilasciato dalla Raster-Noton, visto che Ikeda aveva sempre parlato di una serie concettuale, un ciclo, che a mio parere meglio si adatta ad una tendenza che nel corso degli anni ha largamente oltrepassato i confini dell’udibile musicale riversandosi perfino su progettualità editoriali ed altre esperienze sensoriali. Da questo punto di vista, allora, mi sembra si possa dire che Supercodex si configura come la fase meno interessante di questo ciclo concettuale, oppure l’album meno incisivo della trilogia musicale.
Il limite di Supercodex sta nel suo riproporre un’espressività oramai codificata, che per un compositore come Ikeda, abituato all’uso di fonti generatrici codificate, sembra quasi ironico. Probabilmente non è un caso che nelle note che accompagnano l’uscita di quest’album se n’è voluta sottolineare la natura autoreferenziale, il suo essere una rielaborazione, una meta de-ri-costruzione dei materiali musicali presentati negli album precedenti. Io non credo che tutto questo possa avere una qualche importanza ai fini dell’ascolto, anzi mi è parso quasi un atteggiamento cautelativo volto a difendere la pubblicazione di un lavoro che è indubbiamente più debole se confrontato con il grandioso Dataplex, ma anche con il successivo Test Pattern.
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