Nuovo album per Anne Erin Clark, a tre anni dal precedente The Nowhere Inn, e nuova occasione per passare in rassegna la sua intera produzione musicale, magari non sempre di altissimo livello ma sicuramente mai scontata, cosa non del tutto ovvia in questi tempi dominati da una standardizzazione sempre più spinta.
A proposito di St. Vincent devo ammettere due cose: la prima è che la sua scoperta, per me, è avvenuta sulla scia di un grande nome della musica quale David Byrne, con cui ha collaborato nel 2012 per Love This Giant. La seconda è che quell’album non mi piacque granché, e onestamente ancora oggi non lo trovo molto interessante, almeno non abbastanza da dedicargli dell’altro tempo di ascolto.
Questa seconda ammissione, in realtà, ha rappresentato un gran problema, perchè per tanti anni mi sono abbastanza disinteressato a quest’artista americana, compositrice, cantautrice ma anche polistrumentista, avviata alla carriera musicale molto presto, come tour manager di Tuck & Patti.
Il disinteresse è durato fino ad alcune settimane addietro, quando parlando con un caro amico dal buon orecchio musicale mi chiedeva se avessi ascoltato l’ultima uscita di St. Vincent. Il dover rispondere “no” mi è sembrato un buon motivo per recuperare l’ascolto di All Born Screaming, ovviamente, ma anche parte dei lavori precedenti, per avere la certezza che non mi fossi perso nulla di particolarmente interessante.
E invece, con grande stupore e con enorme dispiacere per il ritardo accumulato, mi sono accorto che in realtà la perdita era stata notevole.
St. Vincent è un’artista che ha alle spalle una storia tutt’altro che lineare, sia in termini di gusti che di esperienze musicali, e questa sua complessità biografica si riflette anche sui suoi lavori, il cui ascolto non è mai immediato e necessita di un tempo di riflessione più lungo della media.
All Born Screaming è un album che convince e piace, in cui si possono ascoltare dei brani che mostrano l’approdo verso una certa maturità, mai scontata e difficile da incasellare in una categoria musicale piuttosto che in un’altra. Non è un caso che quelle due o tre recensioni che avuto modo di leggere, preferiscono attribuire l’arte di St. Vincent alla musica alternativa, un contenitore abbastanza largo per inserire tutti i nomi che sfuggono ad una facile etichetta ma sufficientemente stretto per tenere fuori chi, semplicemente, non ha nulla da dire.
Non è casuale, credo, che tra i tanti nomi con cui avrebbe potuto stabilire una collaborazione, la scelta di St. Vincent sia caduta proprio su David Byrne.
Al termine della prima sessione di ascolto, il brano che più di tutti ho fermato nella mia memoria, per la sua bellezza, è stato Violent Times, in cui ho ascoltato un buon bilanciamento degli elementi musicali: innanzitutto una bella melodia, cupa e misteriosa, che è un fatto da appuntare per un’artista piuttosto restia ad una scrittura melodica facile e scontata. Molti belli gli incisi dei fiati, che mettono in evidenza tutto l’interesse di St. Vincent per delle sonorità complicate e abbondanti, e che in questo brano si cimenta anche in una performance vocale di un buon spessore. Insomma, un brano che sa emozionare profondamente e con uno stile che mi ricorda una certa scrittura degli anni Novanta.
Anne Erin Clark è una classe 1982 quindi non stupisce che i richiami a quel decennio rock siano sparsi un po’ ovunque. Dal primo ascolto, in effetti, ho selezionato anche Big Time Nothing, la cui corposa ritmica mi ha tanto ricordato Bjork di Army Of Me, e Reckless con un finale alla Depeche Mode. Anche Flea è un brano che mi è rimasto molto impresso, e che tra tutti ho trovato più aderente a una scrittura musicale di questi anni 2024.
I continui rimandi alla musica degli Novanta non sono un modo per svilire l’arte di St. Vincent ma piuttosto un modo per stabilire il suo specifico background musicale, la scenografia di fronte alla quale si muove, il contesto musicale a cui decide in qualche modo di attingere, per storia o per passione.
Perchè ascoltare All Born Screaming?
La musica sta vivendo una fase storica di profonda crisi, come segnalato a più livelli. Una crisi originata da diversi fattori, come il dilagare di una tecnologia che inaridisce il pensiero umano, oppure l’estrema commercializzazione della produzione musicale, giusto per lasciare un paio di esempi. Tale crisi si riflette, come accennato in apertura, in una standardizzazione noiosa del repertorio musicale, degli artisti e della creatività musicale. In questo contesto, St. Vincent è una voce che ha qualcosa di diverso da dire. Magari non particolarmente nuovo e delle volte nemmeno troppo contemporaneo ma sicuramente interessante.
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